Sulla base di una prima interpretazione, sembra che il reddito “potenzialmente” accertabile debba essere determinato effettuando una mera somma delle spese indicate dall’art. 3 del decreto che, a sua volta, fa riferimento agli oneri indicati nella tabella A senza alcuna applicazione, quindi, di coefficienti moltiplicativi. L’interpretazione dovrà essere confermata dall’Agenzia delle Entrate. Tuttavia, leggendo con maggiore attenzione la disposizione, non sarà difficile comprendere che – se, da una parte, il decreto ministeriale non ha fatto ricorso a moltiplicatori di alcun genere (così sembra) – dall’altra le spese rilevanti ai fini dell’accertamento possono essere anche maggiori rispetto a quelle effettivamente sostenute. Vale a dire, si presume un reddito accertabile facendo anche ricorso a oneri sostenuti presuntivamente.
È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio scorso il decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze che introduce il nuovo redditometro. I primi controlli dovrebbero partire dal prossimo mese di marzo e potranno estendersi anche agli esercizi già chiusi fino all’anno 2009. Tale possibilità è prevista espressamente dal D.L. n. 78/2010.
La possibilità di accertare sinteticamente il reddito del contribuente in base alle spese sostenute sembra, da una prima lettura del decreto, essere più ampia rispetto a quelle che erano le attese degli operatori. Tale circostanza si desume testualmente dalla lettura dell’art. 3 del decreto, la cui rubrica è “Utilizzo dei dati relativi agli elementi indicativi di capacità contributiva ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo accertabile”.
Sulla base di una prima interpretazione, sembra che il reddito “potenzialmente” accertabile debba essere determinato effettuando una mera somma delle spese indicate dal citato art. 3 che, a sua volta, fa riferimento agli oneri indicati nella tabella A allegata al medesimo decreto senza alcuna applicazione, quindi, di coefficienti moltiplicativi. L’interpretazione dovrà essere confermata dall’Agenzia delle Entrate.
Tuttavia, leggendo con maggiore attenzione la disposizione citata, non sarà difficile comprendere che – se da una parte il decreto ministeriale non ha fatto ricorso a moltiplicatori di alcun genere (così sembra) – dall’altra le spese rilevanti ai fini dell’accertamento possono essere anche maggiori rispetto a quelle effettivamente sostenute. Vale a dire, si presume un reddito accertabile facendo anche ricorso a oneri sostenuti presuntivamente.
L’art. 3, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale prevede che l’Agenzia delle Entrate determini il reddito complessivo accertabile sulla base: “dell’ammontare delle spese, anche diverse rispetto a quelle indicate nella tabella A che, dai dati disponibili o dalle informazioni presenti nel Sistema informativo dell’Anagrafe tributaria risultano sostenute dal contribuente”.
Fino ad oggi tutti gli operatori erano disposti a fare i conti con le 100 voci di spesa note ed indicate chiaramente nella predetta tabella A. Ora, però, il Decreto ministeriale prevede espressamente la possibilità di utilizzare altre voci non indicate nel medesimo decreto. La scelta non appare però censurabile essendo in linea con la logica dell’accertamento sintetico che mira ad accertare il reddito sulla base della capacità di spesa manifestata dal contribuente allorquando spende o sostiene oneri aventi qualsiasi natura.
Tuttavia la previsione può essere “accettata” a condizione che le spese non comprese nell’allegata tabella A siano sostenute dal contribuente effettivamente e non su base presuntiva. I dubbi permangono in quanto la previsione di cui alla citata lettera a) è piuttosto ambigua. In particolare, se risulta condivisibile il riferimento “certo” alle spese presenti nel Sistema informativo dell’Anagrafe tributaria le perplessità riguardano il riferimenti ai “dati disponibili”. Il decreto non spiega quale significato sia attribuibile alla predetta espressione.
I dubbi e le perplessità sono rilevanti in quanto, proseguendo nella lettura dell’art. 3, anche se alla lettera c) si fa riferimento a spese rilevate “da analisi e studi socio economici”. Il timore è che l’Agenzia delle Entrate utilizzi ai fini dell’accertamento anche spese diverse che in base ai dati disponibili dovrebbero essere state sostenute dal contribuente, ma che non vi sia alcuna certezza circa il quantum. Se così fosse l’accertamento non risulterebbe, almeno in parte, sufficientemente fondato presumendo un maggior reddito su una spesa sostenuta, ma il cui importo sarebbe tutto da verificare.
Una situazione pressoché analoga si verifica a proposito della quota di spese attribuibile al contribuente (ai sensi dell’art. 3, lettera a) in base all’ammontare della spesa media ISTAT riferita ai consumi del nucleo familiare di appartenenza.
Il riferimento a tale indicazione potrà essere compreso meglio solo dopo la lettura del precedente art. 1, comma 5 che così dispone “[…] in presenza di spese indicate nella tabella A, si considera l’ammontare più elevato tra quello disponibile o risultante dalle informazioni presenti in Anagrafe tributaria e quello determinato considerando la spesa media rilevata dai risultati dell’indagine sui consumi dell’Istituto Nazionale di Statistica o da analisi e studi socio economici, anche di settore”.
Si consideri ad esempio il caso in cui il contribuente non abbia effettuato nel corso dell’anno oggetto di accertamento alcun acquisto di elettrodomestici ed arredi. Da un’interpretazione testuale della norma sembra che, indipendentemente dalla circostanza che tale tipologia di spesa sia stata effettivamente sostenuta, il reddito accertabile valorizzerà comunque un importo corrispondente alla spesa dell’ISTAT per l’acquisto dei predetti beni. Vale a dire che su una presunzione di spesa si presume un maggior reddito. Resta poi da capire come il contribuente potrà mai dimostrare di non aver sostenuto tale tipologia di spesa in quanto nell’anno non ha acquistato alcun elettrodomestico.
Un discorso pressoché analogo può essere effettuato per le spese relative agli altri mezzi di trasporto pubblici o per i pasti e le consumazioni fuori da casa. Come si riuscirà a dimostrare che il contribuente ed il proprio nucleo non sono amanti del ristorante e preferiscono l’alimentazione domestica?