IL LAVORO DIPENDENTE CAMUFFATO DALLA PARTITA IVA
La riforma del lavoro contrasta, attraverso norme specifiche, i comportamenti irregolari dei datori di lavoro, come l’utilizzo delle “false partite Iva”. Per le dimensioni rilevanti assunte dal fenomeno, viene introdotta una presunzione che inverte l’onere della prova circa la vera natura del rapporto e vengono definiti indici di genuinità per le prestazioni dei titolari di partita Iva in regime di monocommittenza.
La legge 28 giugno 2012, n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro, si propone di contrastare con diversi mezzi l’uso improprio e strumentale delle forme contrattuali. La realizzazione di un mercato “inclusivo e dinamico”, come recita il primo comma dell’art. 1, richiede infatti la sostanziale corrispondenza tra la forma adottata e le finalità in concreto perseguite, per gli effetti distorsivi che altrimenti si possono determinare anche sotto il profilo dell’elusione/evasione degli obblighi contributivi.
Per conseguire questo obiettivo numerose disposizioni della legge intervengono sull’assetto giuridico dei diversi tipi di contratto di lavoro subordinato presenti nel nostro ordinamento: apprendistato professionalizzante (introduzione di un limite minimo di conferme in servizio), contratto di inserimento (abrogazione con effetto dal 1° gennaio 2013), lavoro a tempo parziale (previsione di modalità per la revoca del consenso precedentemente espresso dal lavoratore in materia di clausole flessibili o elastiche), lavoro intermittente (istituzione di un obbligo di comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro prima dell’inizio della prestazione o di un ciclo integrato di prestazioni).
Altrettanto numerose le disposizioni che incidono sulla disciplina di alcune forme di lavoro parasubordinato e autonomo di largo utilizzo, che possono mascherare un sottostante rapporto di lavoro subordinato. Vengono in considerazione, sotto questo aspetto, con riferimento ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa: le norme che individuano con un maggior grado di dettaglio le caratteristiche del “progetto”, la limitazione della facoltà di recesso anticipato da parte del committente, l’estensione della normativa sul lavoro subordinato alle fattispecie in cui l’attività del collaboratore esterno si svolga con modalità analoghe a quelle degli altri dipendenti del committente.
Partite Iva in monocommittenza
Nella realtà economica, il numero dei soggetti che prestano attività sostanzialmente subordinata sotto la copertura formale di un contratto d’opera è cresciuto progressivamente nel tempo fino a raggiungere dimensioni rilevabili statisticamente. Una recente indagine, fissa in circa 280.000 il numero delle “false partite Iva”, mentre è ancora più ampia la diffusione dei soggetti che si trovano in situazione di monocommittenza. E’ appena il caso di rilevare che il rapporto in monocommittenza non esclude, di per sé, la piena autonomia del prestatore d’opera, ma può costituire un forte vincolo alla sua discrezionalità per quanto attiene al luogo, ai tempi ed alle modalità di esecuzione del lavoro.
Per questo motivo l’art. 1, comma 26, L. n. 92, interviene sulla qualificazione giuridica delle prestazioni formalmente rese in regime di lavoro autonomo da soggetti titolari di partita Iva. La nuova disposizione, introdotta come art. 69 bis nel D.Lgs. n. 276/2003, integra il criterio generale costantemente seguito dalla giurisprudenza – concorde nell’affermare che qualunque attività lavorativa economicamente apprezzabile può essere astrattamente riconducibile allo schema contrattuale del lavoro subordinato o del lavoro autonomo e che l’ascrivibilità del concreto rapporto all’uno o all’altro schema negoziale dipende dall’accertamento operato dal giudice in ordine all’effettiva natura ed al reale contenuto del rapporto stesso – con una presunzione legale che obbligherà il giudice, salvo che il committente fornisca la prova contraria circa la reale natura del rapporto, ad inquadrare tra le collaborazioni coordinate e continuative le fattispecie che presentano determinati requisiti oggettivi.
Secondo il testo originario della L. n. 92, la presunzione che si tratti non di lavoro autonomo ma di collaborazione coordinata e continuativa scatta al verificarsi di almeno due delle seguenti condizioni:
• che la collaborazione abbia una durata complessivamente superiore a otto mesi nell’arco dell’anno solare;
• che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca più del 80% dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare;
• che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
La nuova disposizione trova applicazione ai rapporti che verranno instaurati dopo il 18 luglio 2012. Per i rapporti in corso a tale data, la legge prevede un periodo transitorio di un anno durante il quale le parti potranno provvedere agli opportuni adeguamenti. Trascorsi dodici mesi le nuove regole si applicheranno a tutti i titolari di partita Iva.
In presenza di almeno due delle condizioni indicate dalla legge – e in assenza di prova contraria – il rapporto sarà inquadrato tra le collaborazioni coordinate e continuative, prevalentemente personali e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 61, D.Lgs. n. 276/2003. Occorre considerare che, a norma del successivo art. 69, comma 1 (a sua volta interpretato autenticamente dall’art. 1, comma 24 della legge di riforma), i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, se instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data iniziale di costituzione del rapporto. Dunque, per il combinato disposto delle due norme citate, il rapporto di lavoro “autonomo” intrattenuto con la “falsa partita Iva” sarà quasi certamente trasformato ex lege in lavoro subordinato con le conseguenti ricadute sul piano retributivo e contributivo.
Monocommittenza e lavoro autonomo genuino
Sono peraltro esclusi dal campo di applicazione della presunzione e restano nell’area del lavoro autonomo, salva diversa valutazione caso per caso in funzione del concreto atteggiarsi del rapporto, i titolari di partita Iva che, pur operando in situazione di sostanziale monocommittenza e rientrando nelle condizioni previste dalla legge, svolgono prestazioni lavorative di elevata qualità professionale con redditi non inferiori alla soglia minima stabilita.
Nel dettaglio sono escluse dalla presunzione le prestazioni:
• connotate da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività;
• svolte da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali (il livello minimo stabilito per il corrente anno è pari ad euro 14.930; il reddito annuo da lavoro autonomo richiesto per escludere la presunzione è quindi pari a euro 18.663).
Il primo requisito di cui sopra implica una valutazione sulla qualità del percorso formativo ovvero dell’esperienza lavorativa maturata, che richiederà l’individuazione degli opportuni criteri interpretativi. Il secondo requisito si muove in una dimensione oggettiva che comporta peraltro il problema di definire il periodo temporale di riferimento per il raggiungimento del parametro di reddito (presumibilmente l’anno precedente).
Va infine precisato che la presunzione non opera con riferimento alle prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni. Il Ministero del lavoro provvederà alla ricognizione delle predette attività, sentite le parti sociali.
Modifiche introdotte in sede di conversione del D.L. n. 83
Nel corso dell’iter parlamentare di conversione del D.L. n. 83/2012, recante misure urgenti per la crescita del Paese, diverse disposizioni della L. n. 92, tra cui la disciplina ora illustrata in materia di prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo, sono state modificate.
Per quanto qui interessa, le modifiche riguardano due delle condizioni al cui verificarsi scatta la presunzione che si tratti non di lavoro autonomo ma di collaborazione coordinata e continuativa, salvo prova contraria a carico del committente. Secondo gli emendamenti all’art. 69-bis, introdotto nel D.Lgs. n. 276/2003 dall’art. 1, comma 26, L. n. 92, già approvati dalla Camera (Atto 5312-A/R) e che dovrebbero trovare accoglimento anche da parte del Senato (Atto 3426), le condizioni richieste sono ora così formulate:
• che la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a otto mesi per due anni consecutivi;
• che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca più del 80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi;
• che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente (condizione invariata).