Premessa

A 10 anni di distanza dall’approvazione del D.Lgs n. 231/2007 (attuativo della III Direttiva comunitaria in materia antiriciclaggio), con l’approvazione del D.Lgs 25/05/2017, n. 90 (pubblicato nella G.U. n. 140 S.O. del 19/06/2017), si è completato l’iter legislativo di recepimento della IV Direttiva (n. 2015/849/UE), che richiedeva espressamente agli Stati membri l’adeguamento del proprio dispositivo di prevenzione dei predetti fenomeni illeciti, attraverso l’adozione di una serie di misure, quali:

  • l’istituzione di “registri centrali”, destinati a censire i nomi dei titolari effettivi di imprese ed enti privati dotati di personalità giuridica;
  • l’istituzione di registri, destinati a censire i titolari effettivi di trust espressi;
  • il riordino del sistema punitivo antiriciclaggio, con la previsione di sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive”, richiedendo agli Stati membri di adottare, in presenza di violazioni gravi, reiterate, sistematiche relativamente agli adempimenti principali, sanzioni accessorie accanto a quelle pecuniarie.

Per il recepimento della IV Direttiva è stata adottata una tecnica legislativa diversa dalle precedenti occasioni; il D.Lgs. n. 90/2017 non è diventato la nuova legge antiriciclaggio, ma ha compiuto una completa revisione del D.Lgs. 231/2007.

La maggior parte di tali novità sono già in vigore dal 4 luglio 2017; di contro, alcune necessitano di interventi di completamento riservati al Ministero dell’Economia e delle Finanze, agli Organi di vigilanza e agli Organismi di autoregolamentazione, nonché alla UIF, entro determinati termini temporali.

Il presente lavoro analizzerà le principali novità in materia antiriciclaggio, con particolare riferimento ai profili di interesse per imprese e lavoratori autonomi.

Saranno, altresì, analizzate le modifiche normative intervenute in materia di circolazione del denaro contante, titoli al portatore e assegni, con i relativi profili sanzionatori.

Conferimento dell’incarico

Il conferimento di un incarico professionale da parte di un’impresa ad un professionista dell’area giuridico-economica (dottori commercialisti, esperti contabili, consulenti del lavoro, tributaristi, avvocati, consulenti tributari in genere), impone a quest’ultimo la predisposizione di una serie di adempimenti disciplinati dal D.Lgs n. 231/2007, finalizzati alla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, adempimenti che richiedono una leale e trasparente collaborazione del cliente.

L’art. 1, co. 2 del decreto revisionato qualifica come “incarico professionale” il rapporto che consegue all’attribuzione di un mandato, esplicito o implicito, al compimento di una prestazione professionale, a prescindere dal fatto che per la stessa venga previsto il versamento di un corrispettivo, ovvero dalle modalità e dalla tempistica della relativa corresponsione.

Nel momento in cui viene instaurato un rapporto continuativo o conferito un incarico per una prestazione professionale, il professionista dovrà procedere all’adeguata verifica del cliente; quando, invece, si tratta di eseguire un’operazione occasionale disposta dal cliente, che comporti la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento, l’adeguata verifica diviene obbligatoria quando il valore dell’operazione è pari o superiore a 15.000 euro.

Adeguata verifica della clientela

La prima operazione che il professionista deve porre in essere, prima ancora di accettare l’incarico, è costituita dalla procedura di identificazione.

In tale circostanza, il professionista dovrà identificare il soggetto (persona fisica) che materialmente sottoscriverà l’incarico, attraverso l’esibizione di un valido documento di identità.

Se la persona (che assume la veste di “esecutore”) interviene per conto di altro soggetto (il vero e proprio “cliente”), il professionista dovrà verificare il potere di rappresentanza, attraverso l’esame di documenti provenienti da fonti terze attendibili (es: visura camerale aggiornata, atto costitutivo, libri sociali, verbali di assemblea, procura speciale autenticata da un notaio, etc.).

In tale occasione, inoltre, la persona che sottoscrive l’incarico al professionista dovrà fornire ogni utile informazione in merito al titolare effettivo (ovvero ai titolari effettivi) del cliente, inteso come l’insieme delle persone fisiche nel cui interesse (inteso come titolarità della proprietà e/o del controllo del cliente), in ultima istanza, viene instaurato il rapporto continuativo, resa la prestazione o eseguita l’operazione.

La verifica della titolarità effettiva (diretta o indiretta) potrà avvenire attraverso una serie di documenti che il cliente dovrà esibire al professionista, idonei ad evidenziare l’assetto proprietario (es: la visura camerale ove viene documentata la ripartizione del capitale sociale); a tal fine, va precisato che, in via generale, il titolare effettivo di clienti diversi dalle persone fisiche coincide con la persona fisica o le persone fisiche cui, in ultima istanza, è attribuibile la proprietà diretta o indiretta dell’ente, ovvero il relativo controllo (cfr art. 20, co. 1).

Il soggetto che si approccia al professionista per sottoscrivere il mandato per conto del cliente (diverso da una persona fisica) dovrà fornire ogni informazione (con relativi supporti documentali) utile per individuare agevolmente i titolari effettivi del medesimo cliente, ovvero l’elenco dei soci con le relative quote di partecipazione al capitale sociale, nonché il nominativo del soggetto o dei soggetti che controllano l’ente attraverso il potere decisionale esercitato in assemblea (di tali soggetti dovrà inoltre fornire al professionista copia dei relativi documenti di identità in corso di validità).

Per le società di capitali, il secondo comma dell’art. 20 detta regole specifiche che occorre seguire, nella sequenza indicata dalla norma, per individuare la “titolarità effettiva” del cliente.

Più in dettaglio, in prima istanza andranno individuate le persone fisiche che, direttamente o indirettamente, possiedono una quota di partecipazione superiore al 25% del capitale sociale (ancorché detenuto per il tramite di società controllate, fiduciarie o per interposta persona).

Qualora l’esame dell’assetto proprietario non consenta di individuare in maniera univoca la persona fisica o le persone fisiche cui è attribuibile la proprietà diretta o indiretta dell’ente, l’indagine si sposterà sul fronte “controllo”, per cui il titolare effettivo coinciderà con la persona fisica o le persone fisiche cui, in ultima istanza, è attribuibile il controllo dell’ente in forza:

  • del controllo della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria;
  • del controllo di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante in assemblea ordinaria;
  • dell’esistenza di particolari vincoli contrattuali che consentano di esercitare un’influenza dominante.

Qualora, infine, l’applicazione dei suddetti criteri non consenta di individuare univocamente uno o più titolari effettivi, il quarto comma riconduce la titolarità effettiva alla persona fisica o alle persone fisiche titolari di poteri di amministrazione o direzione della società; peraltro, atteso il richiamo ai precedenti commi, tale disposizione si ritiene (a parere di chi scrive) applicabile, in via residuale, anche con riferimento agli altri soggetti collettivi diversi dalle società di capitali (società di persone, enti associativi, etc.).

NOTA BENE

Sul tema dei titolari effettivi delle società di persone è peraltro intervenuto il Dipartimento del Tesoro rispondendo ad uno specifico quesito, in apposito documento (FAQ) pubblicato sul proprio sito istituzionale il 3 ottobre 2017; in tale occasione afferma l’inapplicabilità dei criteri di cui all’art. 20 per l’individuazione del titolare effettivo delle società di persone e soggetti assimilati: “Per le società di persone e, più in generale, per i soggetti privi di personalità giuridica, in sostanza, il cliente è una persona fisica rispetto a cui, eventualmente, potrebbe porsi un problema di interposizione fittizia, la cui individuazione, impossibile da ricostruire attraverso criteri legali, dovrebbe emergere dal corretto adempimento degli obblighi di adeguata verifica del cliente”.

In realtà, a parere di chi scrive, quando il professionista compie una prestazione professionale (si pensi alla difesa in commissione tributaria) a beneficio di una società di persone, il cliente va individuato nella medesima società (che, infatti, è titolare di diritti soggettivi e sta in giudizio attraverso il proprio rappresentante legale), mentre la titolarità effettiva della società va individuata nelle persone fisiche che ne possiedono le partecipazioni (i soci) e che la controllano attraverso i voti esercitabili in assemblea. Ora il problema potrebbe essere quello di definire la quota di partecipazione cui ricondurre la titolarità effettiva; nel silenzio della norma, si ritiene dover prudenzialmente ricondurre tale qualifica a tutti i soci, a prescindere dalla quota di partecipazione.

Qualora tale ricostruzione relativa alla proprietà ed al controllo (per qualche motivo) non sia possibile, si dovrà individuare la titolarità effettiva ai sensi del comma 4 dell’art. 20, identificando e verificando l’identità della persona fisica o delle persone fisiche titolari di poteri di amministrazione o di direzione della società.

Per le società di capitali, le persone giuridiche private e i trust il decreto revisionato introduce l’obbligo di comunicazione dei propri titolari effettivi in via telematica; tali comunicazioni andranno a costituire un’apposita banca dati che il professionista (oltre agli organi di controllo) potrà consultare in occasione degli adempimenti antiriciclaggio.

L’omessa comunicazione di tali dati viene punita con la sanzione prevista dall’art. 2630 c.c. (sanzione pecuniaria da 103 euro a 1.032 euro); il nuovo obbligo comunicativo (e quindi la relativa sanzione), tuttavia, entrerà in vigore a seguito della pubblicazione di apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, che dovrà essere emanato entro il 4 luglio 2018).

AI fini dell’adeguata verifica, il cliente dovrà altresì fornire informazioni precise sullo scopo e sulla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale; inoltre, allo stesso potranno essere richiesti dal professionista, nel corso della prestazione non occasionale, ovvero del rapporto continuativo, periodici aggiornamenti delle predette informazioni, con una periodicità rapportata al profilo di rischio associato al cliente stesso.

NOTA BENE

Il firmatario dell’incarico professionale dovrà inoltre fornire al professionista informazioni precise sulla sua eventuale posizione di “persona politicamente esposta”, nonché precise informazioni in tal senso anche riferite ai titolari effettivi; va in merito precisato che, diversamente da quanto previsto in vigenza delle precedente normativa (per la quale rilevavano solo le posizioni dei soggetti stranieri), sarà rilevante ai fini antiriciclaggio ogni carica politica o amministrativa rivestita anche a livello nazionale (la nuova definizione è contenuta nell’art. 1, co. 2, lett. ad) del decreto). In tali circostanze, il professionista è obbligato ad eseguire l’adeguata verifica con modalità rafforzate, che richiedono l’acquisizione di informazioni aggiuntive sul cliente e sui titolari effettivi, una più approfondita valutazione sulla natura e scopo della prestazione richiesta, una rigorosa valutazione dell’adeguatezza della stessa in relazione al profilo (anche economico del cliente), nonché una maggiore frequenza degli aggiornamenti richiesti per il controllo costante.

L’adeguata verifica con metodologia rafforzata è altresì obbligatoria qualora il cliente o il titolare effettivo sia un soggetto avente sede in taluno dei Paesi terzi ad alto rischio, come individuati dalla Commissione Europea (in base ad un elenco pubblicato con il Regolamento Delegato UE n. 2016/1675 della Commissione del 14/07/2016.

Il professionista è, di contro, esentato dall’adeguata verifica della clientela, quando svolge l’attività di mera redazione e/o trasmissione delle dichiarazioni derivanti da obblighi fiscali (mod. 730, mod. Unico, mod. Iva, dichiarazione di successione, etc.), ovvero esegue gli adempimenti in materia di amministrazione del personale (es: redazione delle buste paga, trasmissione dei relativi dati all’Inps, etc.).

Segnalazione di operazioni sospette

Secondo il dettato normativo revisionato, i professionisti obbligati, prima di compiere l’operazione, devono inviare senza ritardo alla Unità di Informazione Finanziaria (UIF), una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che l’operazione o la prestazione richiesta dal cliente sia connessa a pratiche di riciclaggio (anche solo tentate), ovvero quando ritenga che i fondi impiegati provengano da attività criminose.

In concreto, la segnalazione di operazione sospetta consegue ad una processo complesso che prevede la valutazione di elementi oggettivi legati all’operazione (un elemento importante è sicuramente l’importo della stessa), di elementi legati al soggetto che richiede la prestazione o l’operazione (ossia l’esecutore, il cliente e il titolare effettivo), nonché di ogni altra circostanza nota al professionista in relazione alle funzioni esercitate; un parametro fondamentale di valutazione sarà rappresentato dalla capacità economica del cliente, in funzione della prestazione richiesta.

La segnalazione inviata dal professionista non rappresenta una denuncia del cliente in senso tecnico, ma mero spunto per le indagini demandate ai preposti Organi di controllo (Guardia di Finanza, UIF, Direzione Investigativa Antimafia). Inoltre, la segnalazione effettuata in buona fede ai medesimi Organi non costituisce violazione dell’obbligo di riservatezza o del segreto d’ufficio e non comporta alcuna responsabilità (anche patrimoniale nei confronti del cliente.

L’identità del segnalante è altresì tutelata per tutta la procedura di approfondimento investigativo ed anche nell’ambito del processo penale che eventualmente ne scaturisca.

Il procedimento innescato da una segnalazione sospetta è coperto da segreto; in altri termini, al professionista che ha trasmesso la segnalazione è fatto divieto di fornire tale informazione al cliente “segnalato”, nonché a terzi (diversi dagli Organi deputati all’approfondimento investigativo). L’obbligo di riservatezza comprende, altresì, ogni informazione del flusso di ritorno concernente la medesima segnalazione.

Per quanto concerne l’individuazione dei Paesi terzi ad alto rischio con carenze strategiche, il professionista deve fare riferimento al Regolamento Delegato UE n. 2016/1675 della Commissione del 14/07/2016, che individua 11 Paesi extracomunitari ad alto rischio riciclaggio e terrorismo, suddivisi in tre categorie:

Paesi tersi ad alto rischio che hanno preso per iscritto un impegno politico ad alto livello a rimediare alle carenze individuate e che hanno elaborato con il GAFI un piano d’azioneAfghanistan

Bosnia-Erzegovina

Guyana

Iraq

Repubblica democratica popolare del Laos

Siria

Uganda

Vanuatu

Yemen

Paesi tersi ad alto rischio che hanno preso un impegno politico ad alto livello a rimediare alle carenze individuate e che hanno deciso di chiedere assistenza tecnica per l’attuazione del piano d’azione del GAFI, individuati nella dichiarazione pubblica del GAFIIran
Paesi tersi ad alto rischio che presentano rischi continui e sostanziali di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo avendo ripetutamente omesso di rimediare alle carenze individuate, che sono individuati nella dichiarazione pubblica del GAFIRepubblica popolare democratica di Corea

Limiti alla circolazione del contante e titoli al portatore

Il D.Lgs n. 231/2007 prevede una serie di ulteriori misure finalizzate a prevenire e perseguire il fenomeno del riciclaggio, attraverso specifiche limitazioni all’operatività finanziaria in via generale (intesa come denaro contante, titoli al portare, assegni e libretti di risparmio).

L’obiettivo della limitazione all’uso del contante e titoli similari, evidentemente, è quello di far passare la maggior parte delle transazioni finanziarie significative attraverso strumenti tracciabili, in modo da rendere più difficile “riciclare” denaro proveniente da attività illecite o finalizzato a finanziare il terrorismo.
Ma la restrizione all’uso del contante si spiega tradizionalmente anche con un ulteriore tentativo di incrementare la lotta all’evasione fiscale e al “lavoro nero”, per lo meno quella che si realizza mediante pagamenti “in nero”, usualmente eseguiti per contanti.

Per effetto di quanto disposto all’art. 49 del decreto antiriciclaggio, è vietato il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, siano essi persone fisiche o giuridiche, quando il valore oggetto di trasferimento, è complessivamente pari o superiore 3.000 euro.

ATTENZIONE

Il divieto sancito nel citato articolo riguarda anche i cc.dd. “trasferimenti frazionati”, qualora il “valore oggetto di trasferimento” sia “complessivamente” pari o superiore a 3.000 euro. In altre parole, il valore dell’operazione va inteso come valore complessivamente da trasferire in un’unica soluzione, anche cumulando diverse tipologie di mezzi di pagamento al portatore (contanti, titoli di Stato o altri titoli al portatore).

Il trasferimento sopra soglia, è vietato anche quando è effettuato in più soluzioni, ognuna inferiore alla soglia stessa, quando tale frazionamento risulti “artificioso”; argomentando a contrariis è possibile quindi affermare che i “frazionamenti funzionali”, connaturati all’operazione (si pensi ad un contratto di somministrazione), rispondenti a comuni prassi commerciali, ovvero anche a preventivi accordi tra le parti siano invece legittimi (in tal senso depone la nota esplicativa del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei DCEC dell’11/11/2009).

ESEMPIO

L’acquisto di un bene (ad es. computer + schermo + mouse) per 6.000 euro può essere rateizzato in 6 tranche in contanti da 1.000 euro cadauna ovvero in 3 tranche da 2.000 euro ciascuna, ma non in 2 rate in contanti da 3.000 euro.

Naturalmente la rateazione concessa deve essere riconducibile alla prassi commerciale diffusa; cosi, ad esempio le sei rate mensili da 1.000 euro sono ammissibili mentre gli stessi pagamenti eseguiti in varie soluzioni, ma concentrati nell’arco di dieci giorni, sono soggetti a sanzione, in quanto verosimilmente frutto di un frazionamento artificioso.

Va osservato, a fattor comune, che il divieto di circolazione del contante e strumenti assimilati, oltre soglia, esiste indipendentemente dalla natura (lecita o illecita) dell’operazione alla quale il trasferimento si riferisce; pertanto, il pagamento in contanti sopra soglia (in un’unica soluzione) da parte di un imprenditore, per una fattura ricevuta da un proprio fornitore, come tale registrato nelle scritture contabili, sarà comunque un’operazione illecita per violazione dell’art. 49.

Va, peraltro, precisato che la responsabilità per tale violazione sarà ascritta sia all’imprenditore che al proprio fornitore, a titolo diretto; non si tratta, in altri termini, di una responsabilità solidale ex art. 6 della Legge n. 689/1981, ma di una responsabilità personale in capo ad entrambi i soggetti tra i quali la somma di denaro è transitata in violazione della legge, a titolo di concorso nella violazione; in altri termini, ognuno di essi sarà tenuto al pagamento della sanzione prevista per la medesima violazione.

Peraltro, affinché si possa parlare di violazione, è necessario che il trasferimento della somma sopra soglia sia posto in essere tra due soggetti diversi (siano essi persone fisiche o giuridiche), ossia tra soggetti costituenti diversi centri di interesse; così, ad esempio, sarà sanzionabile in pagamento in contanti sopra soglia di una quota dell’utile societario al socio, ovvero l’apporto di quest’ultimo in seno alla società (anche personale); di contro, risulterà legittimo il prelievo sopra soglia effettuato dal titolare della ditta individuale, dalla cassa dell’impresa (o dal conto bancario della medesima).

Regole in tema di assegni

La revisione normativa operata dal D.Lgs n. 90/2017 conferma il previgente regime di limitazione all’emissione e alla circolazione degli assegni, per cui gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 1.000 euro devono recare:

  • il nome o la ragione sociale del beneficiario;
  • la clausola di non trasferibilità.

Nella relazione di accompagnamento al D.L. n. 201/2011 viene precisato che la ratio di tali limitazioni è legata alla volontà del legislatore antiriciclaggio di limitare al massimo l’utilizzo di “assegni liberi”, in quanto spesso oggetto di truffe e frodi, per cui la restrizione in commento è posta innanzitutto a tutela del risparmiatore e, più in generale, a tutela dell’integrità del sistema finanziario.

Per tale motivo, come regola base, banche e uffici postali rilasciano i moduli di assegni bancari e postali muniti della clausola di non trasferibilità. Gli “assegni liberi” possono comunque essere rilasciati, ma solo su richiesta scritta del cliente e previo pagamento dell’imposta di bollo pari a 1,50 euro per ogni modulo.

Il citato art. 49 contiene una disposizione di natura procedimentale, di chiara matrice “anti evasione fiscale”, in base alla quale l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza possono chiedere agli istituti di credito e alle Poste Italiane Spa i dati identificativi dei soggetti cui siano stati rilasciati moduli di assegni bancari o postali in forma libera, ovvero che abbiano richiesto assegni circolari o assimilati in forma libera, nonché dei soggetti che li abbiano presentati all’incasso. Trattasi di informazioni che le predette Autorità possono utilizzare ai fini della pianificazione delle proprie attività ispettive ed accertative.

Va segnalato comunque che, pur essendo i prelievi e i versamenti sul proprio conto corrente ammessi senza limiti di importo, qualora l’importo dell’operazione non sia coerente con il profilo di rischio del soggetto, l’istituto di credito o l’ufficio postale si troverà in presenza di un elemento di sospetto e, per ciò, sarà obbligato a segnalare l’operazione stessa alla UIF, come “operazione sospetta”.

Va peraltro osservato che anche il ricorso frequente o ingiustificato a operazioni di versamento e prelievo di denaro contante allo sportello, anche sotto la soglia unitaria di 3.000 euro, costituisce ex lege elemento di sospetto, obbligando l’intermediario finanziario a trasmettere apposita segnalazione di operazione sospetta alla UIF.

Libretti al portatore e conti anonimi

Per effetto della revisione normativa disposta dal D.Lgs n. 90/2017, dal 4 luglio 2017 è ammessa esclusivamente l’emissione di libretti di deposito, bancari o postali, nominativi; dalla stessa data, è vietato il trasferimento di libretti di deposito bancari o postali al portatore già esistenti, qualunque sia il loro saldo; gli stessi libretti dovranno essere estinti dal portatore stesso entro il 31 dicembre 2018.

Dal tenore della disposizione in commento, si ricava una trilogia di operazioni illecite connessi ai libretti al portatore, come tali punibili ai sensi della normativa antiriciclaggio, se commesse a far data dal 4 luglio, a prescindere dal loro saldo, ossia:

  • l’emissione;
  • il trasferimento a terzi;
  • la mancata estinzione entro il 31/12/2018.

Sul tema dei libretti al portatore è peraltro intervenuto il Dipartimento del Tesoro, rispondendo (in modo non certo esaustivo) ad uno specifico quesito tendente ad individuare il corretto regime di circolazione dei libretti al portare, nel periodo transitorio compreso tra il 4 luglio 2017 ed il 31 dicembre 2018.

Nel menzionato documento (FAQ) pubblicato sul proprio sito istituzionale il 3 ottobre 2017, l’Autorità antiriciclaggio ha affermato: “A decorrere dal 4 luglio 2017:
·         i libretti al portatore esistenti e in circolazione non possono essere trasferiti;
·         nel periodo transitorio tra l’entrata in vigore della norma e il termine ultimo per l’estinzione dei libretti di deposito al portatore (4 luglio 2017-31 dicembre 2018) la soglia massima del saldo dei libretti al portatore è allineata alla soglia prevista dal comma 1 del medesimo articolo 49;
·         alla prima occasione utile, quale, ad esempio, la richiesta di versamento di somme di denaro sul libretto da parte del portatore, banche e Poste italiane sono tenute a richiamare il portatore medesimo all’obbligo di estinzione del libretto”.

In altri termini, il citato Dicastero sembra ritenere attualmente legittimi solo i libretti al portatore esistenti al 4 luglio 2017 aventi un saldo inferiore a 3.000 euro. In realtà, la soglia citata concerne il trasferimento di contante e titoli assimilati e non ha alcuna attinenza con i libretti al portatore.

A parere di chi scrive, le disposizioni normative entrate in vigore il 4 luglio 2017 (cfr art. 49, co. 12) hanno di fatto “liberalizzato” tutti libretti al portatore esistenti a tale data, a prescindere dal loro saldo.

Ovviamente, la “liberalizzazione” riguarda il loro possesso e non anche la circolazione, che è vietata a prescindere dal saldo (quindi anche se lo stesso è inferiore a 3.000 euro, nonché alla precedente soglia di 1.000 euro).

È inoltre vietata l’apertura di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia, nonché la circolazione in Italia di analoghi rapporti accesi all’estero.

Regime sanzionatorio

Le fattispecie sanzionatorie amministrative, previste per la violazione delle limitazioni sull’uso di strumenti finanziari, disciplinate dagli artt. 49 e 50 del D.Lgs n. 231/2007, sono contemplate dall’art. 63 del medesimo decreto.

Il primo comma, in particolare, prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 a 50.000 euro (in precedenza veniva prevista una sanzione compresa tra l’1% e il 40% dell’importo dell’operazione illegittima), in caso di violazione delle seguenti disposizioni:
·         trasferimenti di contanti e titoli al portatore > 3.000 euro tra soggetti non abilitati;
·         rimesse di denaro all’estero per importi > 1.000 euro;
·         negoziazione a pronti di valuta estera per importi > 3.000 euro;
·         assegni bancari e postali emessi per importi > 1.000 euro senza l’indicazione del beneficiario o della clausola di non trasferibilità;
·         assegni bancari e postali emessi all’ordine del traente, girati per finalità diverse dall’incasso;
·         assegni circolari, vaglia postali e cambiari emessi senza l’indicazione del beneficiario, ovvero della clausola di non trasferibilità.

Per le violazioni che riguardano importi superiori a 250.000 euro, le misure edittali sono quintuplicate, applicandosi, di conseguenza, da 15.000 a 250.000 euro.

Il secondo comma dell’art. 63 prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 250 a 500 euro, in caso di violazione della disciplina sulla circolazione dei libretti bancari e postali al portatore. In precedenza era prevista una sanzione commisurata al saldo del libretto superiore a 999,99 euro.

Il successivo comma 3 prevede l’applicazione di una sanzione dal 20% al 40% del saldo dei conti o libretti anonimi o con intestazione fittizia accesi in Italia; per l’utilizzo di quelli analoghi, accesi all’estero, invece, e prevista una sanzione amministrativa dal 10% al 40% del saldo degli stessi.

La disciplina sanzionatoria esposta, in vigore dal 4 luglio 2017, differisce in termini sia sostanziali che procedurali da quella previgente; in merito, il decreto di revisione ha introdotto in materia antiriciclaggio il principio del favor rei di matrice penalistica. Di conseguenza, per ogni violazione commessa prima di tale data, dovranno essere concretamente confrontati i due regimi sanzionatori: a seguito di tale verifica, al trasgressore sarà applicata la misura più favorevole, compresa la possibilità di beneficiare di alcuni istituiti agevolativi di nuova introduzione.

Comunicazione di irregolarità

Quando le violazioni in tema di circolazione del denaro contante e assegni, commessa dall’imprenditore, lavoratore autonomo, ovvero da un soggetto che rappresenta una società, viene individuata dal professionista depositario delle scritture contabili, nell’occasione in cui provvede alla registrazione delle operazioni rilevanti ai fini tributari, quest’ultimo è obbligato ad inoltrare alla competente Ragioneria Territoriale dello Stato una apposita “comunicazione di irregolarità”.

Tale comunicazione darà origine ad un procedimento sanzionatorio di competenza della medesima Ragioneria che, all’esito dello stesso, emetterà un provvedimento sanzionatorio in capo ad entrambi i soggetti tra i quali è intercorsa l’operazione illecita (es: al cliente e al fornitore intervenuti nella transazione regolata contra legem).

Tale comunicazione costituisce un obbligo giuridico per il professionista, da porre in essere entro 30 giorni (a partire da quello in cui viene a conoscenza della transazione illecita), in caso di inottemperanza (accertata ad esempio in sede di controllo fiscale o ispezione antiriciclaggio da parte del personale della Guardia di Finanza), quest’ultimo sarà autonomamente punito (dalla competente Ragioneria Territoriale dello Stato) con una sanzione amministrativa da 3.000 a 15.000 euro.

Le nuove sanzioni penali in materia antiriciclaggio

In sede di restyling della disciplina sanzionatoria, la scelta del legislatore del recepimento della IV Direttiva è stata quella di commisurare la risposta punitiva alla gravità della condotta: pertanto, a far data dal 4 luglio 2017 le ipotesi caratterizzate da comportamenti fraudolenti e simulatori vengono punite come delitti; di contro, le altre tipologie di violazioni agli obblighi del decreto, prive di tali profili insidiosi ma comunque idonee a recare pregiudizio al dispositivo di prevenzione del riciclaggio, vengono punite come illeciti amministrativi.

Si è già visto come il cliente, nell’ambito del conferimento dell’incarico al professionista, sia obbligato (su invito di questi) a fornire tutti i documenti necessari per consentirgli l’effettuazione dell’adeguata verifica che comporta sia la procedura di identificazione e verifica dell’identità di tutti i soggetti interessati (cliente, esecutore e titolare effettivo), sia la verifica della natura e dello scopo della prestazione richiesta; a tal fine, il cliente dovrà firmare un apposita dichiarazione ai fini della normativa antiriciclaggio, nella quale dovrà inserire:

  • i propri dati anagrafici, compreso il codice fiscale;
  • il nome della persona fisica, o la denominazione della società od ente per conto della quale richiede la prestazione, nonché i relativi riferimenti identificativi (sede, codice fiscale, partita Iva, numero di registrazione camerale);
  • i riferimenti dei titolari effettivi;
  • l’indicazione, per ogni soggetto indicato, della sua eventuale qualifica di “persona politicamente esposta – PEP);
  • tipologia, natura e scopo della prestazione richiesta;
  • mezzi di pagamento e origine dei fondi (se trattasi di operazione finanziaria o patrimoniale).

Qualora in tale sede il cliente fornisca dati falsi o informazioni non veritiere, lo stesso si renderà responsabile del delitto previsto dall’art. 55, co. 3 del decreto, che comporta l’applicazione congiunta delle seguenti sanzioni penali:

  • reclusione da 6 mesi a 3 anni;
  • multa da 10.000 a 30.000 euro.

La menzionata risposta sanzionatoria si renderà applicabile qualora la condotta del cliente non implichi la perpetrazione di un reato più grave (es: riciclaggio o autoriciclaggio).

L’attuale impianto sanzionatorio penale (previsto per il cliente) presenta sostanziali modifiche rispetto a quello previgente; di conseguenza, per i fatti illeciti posti in essere prima del 4 luglio 2017, in ossequio al principio del favor rei sancito dall’art. 2 c.p., si renderanno applicabili le misure sanzionatorie in concreto più favorevoli al reo.

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