La tabella A allegata al D.M. 24 dicembre 2012 contiene le voci di spesa rilevanti per la ricostruzione sintetica del reddito del contribuente ai fini del redditometro in base alla propria capacità contributiva. Particolare rilievo assumono le regole sottostanti alla valorizzazione di dette spese, poiché l’art. 1, comma 5, del predetto decreto stabilisce che “ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche, in presenza di spese indicate nella tabella A, si considera l’ammontare più elevato tra quello disponibile o risultante dalle informazioni presenti in Anagrafe tributaria e quello determinato considerando la spesa media rilevata dai risultati dell’indagine sui consumi dell’Istituto Nazionale di Statistica o da analisi e studi socio economici, anche di settore”.

Secondo il criterio indicato dal decreto, quindi, costituisce spesa imputabile al contribuente il maggior importo tra:

·         quanto stimato dall’ISTAT;

·         il dato presente in Anagrafe tributaria.

Operativamente, facendo riferimento alla categoria di consumi riferiti ai generi alimentari, bevande, abbigliamento e calzature, indicata nella tabella A, in base ai dati ISTAT una persona single di età superiore a 65 anni, che vive nel Nord ovest del Paese, dovrebbe spendere 345,68 euro al mese, per un totale annuo di euro 4.148,16 per alimenti e bevande. Tale importo, quindi, costituisce il quantum imputabile al contribuente come capacità di spesa, a meno che non siano presenti altri importo (maggiori) in Anagrafe tributaria.

Tale modus operandi non appare del tutto convincente, poiché, prendendo a riferimento proprio la categoria dei consumi afferenti gli alimenti e bevande, è abbastanza intuibile che l’Amministrazione finanziaria non avrà, nella maggior parte dei casi, alcun dato presente in Anagrafe tributaria, a meno che il contribuente non abbia effettuato operazioni di importo maggiore a 3.600 euro, nel qual caso l’operazione stessa sarebbe inclusa nello spesometro (art. 21, D.L. n. 78/2010), ma tale ipotesi appare alquanto inverosimile. Per altre categorie di spese, indicate nella tabella A, invece, l’Amministrazione finanziaria non potrà che riferirsi ai dati disponibili o presenti in Anagrafe tributaria, ragion per cui l’imputazione di tali spese al contribuente è senza dubbio più puntuale e corretta.

A questo punto sorge spontaneo un interrogativo, con riferimento a quelle spese, quali appunto quelle riferite ai consumi alimentari o all’abbigliamento, per le quali l’Amministrazione finanziaria non disporrà di alcun dato certo, con conseguente operatività del dato presunto della media ISTAT.

In primo luogo, è necessario chiedersi come potrà il contribuente difendersi dalla presunzione azionata dall’Ufficio, ovvero se sarà onere dell’Ufficio stesso che, in assenza di dati certi, dimostrare che il dato ISTAT è coerente con la posizione del contribuente.

In secondo luogo, è necessario chiedersi in relazione alle voci per le quali è possibile l’utilizzo dei dati ISTAT, se l’Amministrazione finanziaria potrà applicare sempre i valori medi, oppure se tali valori siano utilizzabili solo nei casi in cui il dato effettivo sia inferiore a quello ISTAT.

Ad esempio, nell’ipotesi in cui per la categoria degli elettrodomestici e arredi, ovvero per l’acquisto di apparecchi per telefonia, o per attività sportive o ricreative, non risulti alcun dato disponibile in Anagrafe tributaria, è corretto considerare sempre il dato ISTAT?

L’interpretazione dell’Agenzia

Sul punto, una prima (parziale) risposta di desume leggendo il contenuto della circolare n. 24/E/2013, secondo cui, in linea generale, il nuovo redditometro è caratterizzato da una maggiore trasparenza e facilità di comprensione, poiché si fonda, come visto in precedenza, su “spese certe” e sulle “spese per elementi certi”, valorizzate anche tenendo conto della tipologia di famiglia del contribuente e dell’area geografica di appartenenza.

In base a tale premessa, l’Agenzia precisa che “solo in via residuale e per le spese correnti, in quanto numerose e di importi non significativi, ma frequenti nel corso dell’anno, al fine di evitare ulteriori oneri di conservazione della documentazione da parte del contribuente, si utilizza la corrispondente media ISTAT”. In tale ottica, quindi, l’Agenzia ritiene che i valori ISTAT hanno la funzione di integrare gli elementi presenti in Anagrafe tributaria e, in sede di contraddittorio, il confronto con il contribuente deve avvenire sulla base di dati certi e situazioni di fatto oggettivamente riscontrabili, così da ridurre al minimo l’incidenza delle presunzioni.

La suddivisione delle tipologie di spesa

Il contenuto della circolare n. 24/E offre lo spunto per alcune riflessioni. La prima impressione che si desume dalla lettura della posizione dell’Agenzia è che nella fase di selezione dei contribuenti e nella prima richiesta di chiarimenti in sede di contraddittorio, la “sfida” deve basarsi solo su dati certi e, quindi, sugli elementi disponibili in Anagrafe tributaria. A tale proposito, evidenziando che l’approccio appare corretto, sembra opportuno, a parere di chi scrive, distinguere le differenti e variegate spese presenti nella Tabelle A in differenti categorie:

·         spesenecessarie”, in cui rientrano quelle tipologie di consumi che non possono non esserci (nell’ambito delle quali rientrano gli alimenti e le bevande, l’abbigliamento, etc.) e per le quali appare ragionevole il sostenimento delle stesse; l’utilizzo dei dati ISTAT, in questo caso, potrebbe costituire un punto di partenza per attribuire al contribuente una capacità di spesa, il cui quantum dovrà tuttavia essere adeguato in funzione della peculiare situazione del contribuente stesso, e tale adeguamento non potrà che avvenire in sede di contraddittorio con l’Ufficio;

·         spesevoluttuarie”, in cui rientrano spese che non necessariamente tutti i contribuenti sostengono, in quanto dipendono dalla peculiare situazione del contribuente (ad esempio, l’acquisto di gioielli, di viaggi, di orologi, etc.), per la cui imputazione si ritiene necessaria la presenza di dati certi desumibili dall’Anagrafe tributaria, non potendo in tali casi operare la presunzione del dato ISTAT, poiché trattasi come detto di categorie di spese solo eventuali. Per tali spese, quindi, l’Ufficio dovrà verificare l’esistenza di dati certi in Anagrafe tributaria, in assenza dei quali non potrà presumere alcun dato statistico da imputare al contribuente.

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